A completare le notizie recate da altre lettere di un emigrato delle Giudicarie esteriori a sua moglie da noi antecedentemente pubblicate facciamo luogo anche alla seguente:

Varton, 16 maggio. Mi sono molto rallegrato nel sentire dall’ultima tua lettera che stai bene assieme ai nostri figliuoli, mi trovo sano ancor io al presente. Nell’ultima lettera che ti scrissi, ti dissi che io sarei stato uno di più fortunati tra quelli che siano venuti al Texas d’America; ma ora ti devo leggere il libro al rovescio, e ti dico che abbiamo da fare con birbanti. La giornata sarebbe buona, ma è più il tempo che non si lavora che non quello che si lavora. Se ci fosse stata un poco di direzione di più, a quest’ora avrei fatto un buonissimo guadagno; se io volessi spiegarti tutta la mala direzione che trovasi in questo lavoro, mi ci vorrebbe tutta una settimana di scrivere. Ti dico solo che abbiamo a che fare con birbanti; il lavoro di traverse è stato sospeso ancora il primo aprile e abbiamo impegnato tutto il mese per dare in consegna il nostro lavoro, e se avessero fatto il giusto avressimo nel febbraio e marzo circa 45 marenghi, e invece bisogna contentarsi solo di 25! Puoi immaginarti il tumulto che è succeduto fra gli operai, ma tutto fu indarno. Ora mi trovo sulla linea a fare i rampatori; la giornata è di 10 franchi al giorno. Il male si è che se piove un giorno, bisogna perdere dai 5 ai 6 giorni di lavoro e pare che sia per poco tempo anche questo lavoro. Qui la stagione è precisa come la nostra; vale a dire che le giornate più lunghe sono nel giugno e le più corte nel dicembre, ma riguardo alla temperatura non è come da noi, perché agli ultimi di dicembre il bosco era nudo del tutto e nel febbraio era ancora tutto rivestito. In questi boschi trovansi dei gelsi che ancora nel marzo avevano le more mature, trovansi anche delle viti selvatiche e a quest’ora vi è l’uva matura; da qui puoi immaginarti il caldo che fa in questi boschi: trattasi che in due mesi siamo sfigurati così, che non ci conoscevamo più l’un l’altro. Ma dove sono ora non è così, trovasi un’aria che consola per tutta la giornata; mi trovo in un prato il quale ha la larghezza di 38 chilometri e la lunghezza di circa 80. Qui della linea non si può lavorare perché in questa posizione non si trova acqua se non che nei fiumi, e sulla linea ce la portano colla macchina, è acqua fangosa stracissima. Qui il giallo è già fiorito, i fagiuoli sono maturi, le patate sono già raccolte. Non so altro che dirti. Addio. 

Questa lettera fu portata da due nostri emigrati che in questi dì ritornarono a casa per motivi di salute ed anche perché furono sospesi i lavori di segantino come è detto sopra. Pare che tra breve abbiano a ritornare quasi tutti questi nostri emigrati al Texas stanchi della cattiva direzione dei lavori e del caldo troppo sensibile, il quale cagionò la morte ormai a due dei nostri trentini. Se l’emigrazione al Texas diminuisce e non riesce, quella invece alla Repubblica Argentina continua e si aumenta, e fin quì con risultati che si dicono soddisfacenti. Il clima ivi è adattissimo alla nostra gente e l’occupazione di contadino e di guardiano di pecore è molto lucrosa nelle pianure del Pampas.

Soggetto produttore:“La Voce Cattolica”, n. 67
Data:15/06/1882
Pseudonimo:
Descrizione:L’articolo riporta la quarta lettera di un emigrante del Bleggio in Texas alla moglie. Trattandosi di una quarta lettera e essendo la prima firmata con lo pseudonimo R. possiamo stabilire che la lettera fu inviata da don Guetti alla redazione del giornale.