Pubblichiamo quest’articolo, che, preso nelle restrizioni volute dall’autore, contiene a nostro giudizio cose pratiche e giuste.
Non s’aspetti il lettore sotto questo titolo una geremiade ad usum Delphini sulle tristi conseguenze dell’emigrazione; non sono pessimista io, e molto meno faccio consistere l’amor patrio nel sapersi conservare il proprio piatto ben guernito alla tavola del dio Epulone senza curare le giuste bisogna de’ moderni Lazzari; niente di tutto questo; ma persuaso che ogni figlio d’Adamo vale per uno, e molti contano per molti, e che certe cose non sta bene il solo saperle, ma che è molto meglio aver il fegato di dirle, il lettore sotto il titolo sovranotato verrà a cognizione dei buoni effetti prodotti dall’emigrazione americana sia diretti che indiretti in favore della madre patria. Premetto che intendo parlare per l’emigrazione dell’America del Sud ed in modo speciale della Repubblica Argentina e non di tutti gli emigranti trentini, ma solo degli emigranti delle Giudicarie esteriori che Sarca e Duina partono, e Casale, Misone, Cogorna circondano e la Tosa alpe famosa! (*)
Premesso questo strambo esordio vengo alla proposizione che suona: L’emigrazione americana per le Giudicarie esteriori è di grande vantaggio; e son qui a provarlo.
Un’opera umana od un fatto il quale ben considerato in e per sé stesso ed in tutte le sue conseguenze, alla fine de’ conti porta del bene più che del male alla società è e deve essere un fatto ed un’ opera buona ed utile. Atqui l’emigrazione americana porta vantaggio alla società. Ergo. Provo subito la minore.
1)Primo vantaggio dell’emigrazione si è di veder ritornato o presto ritornare l’equilibrio sociale tra questi abitanti giudicariesi. Dopo la catastrofe de’ bachi da seta questi poveri valligiani un po’ alla volta si ridussero a ristrettezze tali che a San Silvestro trovavano contro il solito le partite dell’uscita maggiori dell’entrata, e per farne il pareggio dovettero o diminuire le loro realità, o prendere imprestiti dai maggiori abbienti ipotecando i loro stabili. Ogni anno peggiorando questo squilibrio dell’uscita con l’entrata ed aggravandosi di più i beni stabili di nuovi e più forti balzelli erariali, comunali, consorziali o meglio concorrenziali, ne venne che moltissimi dovettero per vivere privarsi delle loro sostanze territoriali d’ogni specie, e nolenti farsi socii effettivi della nuova società degli spiantati. Altri poi, cui pesava tanto onore, si contentarono di cercare nuovi imprestiti fino al totale importo de’ loro averi; e impossibilitati poscia di pagarne gl’interessi maturati, dai creditori infine anche costoro vennero sollevati dal pagare steore e balzelli glebali cogl’incanti forzosi. Cosicché per poco che l’andasse di questo passo, questa valle ridente tornava a vapore al medio evo, cioè al tempo infausto ch’era dominata dai pochi signorotti padroni delle castella Comerione, Ristoro, Stenico ecc. Vero però che questo estremo alla fine sarebbe stato scongiurato dai figli della moderna civiltà con l’applicazione di un liquido potente e a buon mercato o con un po’ di pasta giallo-grigia che a bizeffe si spaccia dalle farmacie dei professori Mezeroff.
Ma la Provvidenza ci portò un mezzo se non così istantaneo, certo ben più efficace, l’emigrazione americana. Gli sbilanciati per prima, quindi altri meno pressati ma non senza debiti, e infine alcuni tra benestanti troppo numerosi in famiglia si diedero alla spicciolata ad emigrare alla Repubblica Argentina. I primi chiamarono i secondi, questi altri ancora tra parenti e vicini cosicché il contingente ora è assai numeroso ed aumentasi continuamente quasi ad ogni mese. Il risultato ne è che co’ denari spediti e che quasi ogni settimana si spediscono in regolari cambiali pagabili a Trento con la semplice spesa del bollo, i debiti di vecchia data si vanno pagando, le sostanze si sollevano dagli incubi ipotecarii e gli stabili venduti una volta ritornano pian piano ai vecchi possessori con ricompere grasse, e con ciò si ristabilisce l’equilibrio sociale che fioriva un 30 o 40 anni fa.
Il fatto sta adunque che al presente la gleba va aumentandosi di prezzo, molti capitali vengono retrodati, i quali se di nuovo si vogliono capitalizzare si devono cederli ad un tasso minore del solito 6.010 o mutarli in obbligazioni di Stato o consegnarli alle casse di risparmio cittadine, le quali sono presto stanche di ricevere danari! Ecco il primo vantaggio dell’emigrazione americana.
2. Il secondo vantaggio si è il miglioramento della nostra agricoltura. In quest’ultimo mezzo secolo aumentandosi di molto la popolazione, qui da noi inconsultamente si aumentarono anche i terreni arativi di fronte ai prativi, e perciò per ottenere maggior rendita in cereali, necessarii alla vita dell’uomo, si diminuirono d’assai i raccolti erbivori necessarii al bestiame. Ne avvenne uno secondo squilibrio e questo a danno della pastoreccia. Diminuita la pastoreccia si venne a mancare di grande quantità di concime; senza il concime queste povere terre ad onta di un lavoro manuale più diligente giunsero a dare meschini raccolti. – Ora emigrando molti contadini, e quel ch’è più il fiore dei lavoratori, ne risultò che i terreni arativi non poterono essere sostenuti come prima, e quindi anche senza le prediche de’ nostri giornali agrarii ed anche senza le sollecitudini più o meno calorose delle presidenze dei nostri Consorzi agrari, da alcuni anni a questa parte, si moltiplicarono di molto i prati artificiali e sempre più si vanno aumentando, facendo ritornare così anche in agricoltura l’equilibrio d’una volta. Aumentando i foraggi si potranno nutrire più bestie bovine tanto ad altro prezzo presentemente, gli arativi riposano, il prato artificiale supplisce alla concimazione, le rendite accompagnate dalla benedizione di Dio saranno più ubertose, ed ecco prodotto un secondo vantaggio non piccolo dalla emigrazione americana.
3. Un terzo buon effetto conseguenza dei due primi, si è la diminuizione del pauperismo e dell’accattonaggio.
Pur troppo è vero che i poveri affatto per lo più non emigrano perché non hanno i mezzi, e tanti neppur la volontà se il mezzo d’emigrare gratis loro si offerisse, chè emigrando in America bisogna lavorare di buona schiena e ciò non vogliono gli accattoni usi alla infingardaggine ed alla poltroneria. Pure qualcuno anche di questi se n’andò all’altro mondo, cioè in America, e guadagnano per sé e mandano alle loro famiglie de’ bei denaruzzi. Quelli che restarono, ora trovano mezzi più facili di guadagnarsi il pane, basta che lo vogliano. Al presente le fatiche giornaliere dell’operaio sono pagate generosamente perché mancano le braccia necessarie, ed i grossi possidenti, se non vogliono vedere i loro terreni ridotti alle condizioni del campo dell’uomo pigro, devono far buon viso anche alle braccia debili de’ mendicanti e così troviamo avvicinati due strati sociali che fin qui furono gatto e sorcio, e con facilità toccano con mano d’essere tutti fratelli, bisognevoli d’aiuto scambievole. Non è questo un bel e buon effetto dell’emigrazione americana?
E lo Stato ci scapita o ci guadagna? Anche lo Stato ci guadagna, ed eccone il come. Prima indirettamente con un consumo straordinario di bolli per il carteggio epistolare insolito con l’altro mondo. Nel paesello ove io abito con 20 emigrati più di 15 lettere al mese traversano i mari portanti l’aquila bicipite marcata con 20 soldi: son dunque 3 fiorini mensili. Fate poi la proporzione con i trecento e più emigrati di questo distretto e vedrete una bella cifra annuale che entra nelle casse magne dello Stato! Ma il vantaggio direttissimo si è che i balzelli pubblici si pagano a cagione dell’emigrazione con più facilità trovandosi il danaro venuto dall’oceano bello e sonante, ed è rarissimo il caso delle esecuzioni sommarie e del nulla ritrovato, frase nota e ritrita di pochi anni fa – Dunque? Ma prima di venire al dunque tocchiamo qualchecosa ancora della religione e dei vantaggi morali.
(Segue la fine)
(*) A schiarimento di questa restrizione dell’autore aggiungiamo che dalle Giudicarie Esteriori partono gli emigranti per l’Argentina più ad individui che a famiglia, e questi come lavoratori per poi far ritorno alle loro famiglie. (N. d. D.)
Effetti dell’emigrazione americana (Cont. e fine. V. il N. precedente). Sembrerà al lettore un errore madornale il dire che anche la religione e la moralità ci guadagnano con l’emigrazione americana, mentre il portarsi in paesi lontanissimi, dove assai rari sono i sacerdoti e di conseguenza poca o nulla l’istruzione e la coltura spirituale, non è un bene certamente a cattolici che qui in patria hanno in abbondanza il pane dell’anima; e se manca il vantaggio dell’anima vanno tutti in fumo gli altri vantaggi materiali asseriti di sopra. Eppure giusta il mio debole parere e la giovine mia esperienza ho la coscienza di asserire che anche la moralità e la religione ci guadagnano con l’emigrazione alla Repubblica Argentina. Abbia pazienza il lettore e continui a leggere quel poco che sono per dire.
L’emigrazione alle strade ferrate non fu e non è ancora per i nostri paesi un flagello spirituale dei più terribili? Lo dicano le lagrime di tanti genitori abbandonati da’ loro figli ed il cuore corrucciato di tanti curatori d’anime che videro tornare lupi rapaci coloro che partirono innocenti agnellini! Ebbene col deviare questa emigrazione dai paesi settentrionali d’Europa e dirigerla all’America del Sud si venne a togliere qui da noi quasi del tutto questo malanno pestilenziale.
Non solo giovò al paese l’allontanarsi dei giovani dai lavori ferroviarii, ma il portarsi in America giovò pure a questi stessi infelici, perché si mutarono in meglio. Vi so dire di emigrati alle ferrovie ritornati a casa lo scandalo del paese e quindi partiti per l’America cambiarsi addirittura in moralità. Arrivati sotto il limpido cielo nelle pianure dei Pampas, col respirare quelle vergini aure purificaronsi nel cuor loro, ed assieme ai sentimenti di religione tornarono a rivivere i sentimenti di patria soffocati dalle moine delle sgualdrine nordiche d’Europa. Oh emigrassero pur tutti in America i lavoranti alle ferrate di qui, se col battesimo equatoriale non si purgano tutti, al certo nissuno peggiorerà! Una bella prova abbiamo in questo che tutti i nostri emigrati americani, scrivendo alle loro famiglie, pregano e scongiurano di ricordarsi di loro nelle preghiere quotidiane, di far celebrare qualche S. Messa per loro onde Dio benedica le loro fatiche! E dove si vede questo sulle lettere degli emigrati alle strade ferrate? Segno dunque che emigrando in America non diminuisce la fede ma cresce o rivive in coloro che l’avenno morta. Anzi posso aggiungere che la viva fede e buona condotta morale della maggior parte de’ nostri emigrati giudicariesi è esemplare e di buon effetto nella Repubblica Argentina stessa.
Nella nuova capitale della provincia di Buenos Ayres “La Plata” tra le prime fabbriche ci fu quella di una Chiesa ove oramai si celebrano i divini misteri da due sacerdoti, uno indigeno ed uno trentino, D. Andrea Motter. Ebbene in una festa solenne del dicembre 1883 in questa Chiesa con accompagnamento d’organo eccheggiavano voci robuste in lode di Dio. Un coro completo di giudicariesi cantava regolarmente una Messa musicata in canto figurato attirando una moltitudine insolita al sacro tempio. Dunque? Ancora un fattarello palpitantissimo d’attualità e poi verremo all’ergo.
Un giovinastro di qui, che avea passate eminentemente tutte le scuole del progresso ai lavori ferroviarii e che dopo varii anni ritornava a casa più povero di prima sebbene avesse le braghesse mezzo metro più larghe degli altri, si risolve di andare in America con altri del paese. Lascia a casa il vecchio genitore gemente nella miseria e sotto il filtro del sussidio comunale, mentre due o tre altri fratelli andando trovano appena da vivere per sé stessi. S’intende che il giovine trentenne fino al momento della partenza imbevuto dei principii ultramontani giammai fece atto di riconoscenza verso il padre impotente e quindi poche erano le speranze di un aiuto qualunque partito che fosse oltre l’oceano. Giunto però in America dopo solo un anno d’assenza spedisce ai suoi famigliari 500 lire con quest’ordine espresso: di comperare un letto di lana al padre impotente che da anni annorum dorme in un covo su poca paglia; di preparare allo stesso una stanza decente ove possa riposare riparato da tutte le intemperie, e solamente dopo adempite queste condizioni di adoperare il restante denaro negli altri bisogni di famiglia! – Non è questa un’ opra veramente bella e degna d’encomio? E donde questo insolito oprare in un giovane fin quì snaturato? Ah quel Dio, che sebbene ovunque presente, pure si tocca quasi dire con mano là sui flutti dell’oceano, ha parlato chiaro e forte al figlio traviato, e nei vortici della burrasca o sulle labili ondate del mare fece fare dei buoni propositi a quel cuore duro fin allora; e giunto al lido americano lontano dai soffi micidiali di corrotti compagni poté realizzarli, e la benedizione del vecchio padre inchiusa nella lettera di ringraziamento passerà i mari in tutta la sua forza, e speriamo, saprà donare la perseveranza a questo fortunato convertito.
Potrei citare altri fatterelli simili a questo, ma basterà; perché non voglio stancare il lettore ormai troppo paziente, e perché ancora mi preme di conchiudere la prova della mia proposizione che suona: l’Emigrazione all’America del Sud e specialmente alla Repubblica Argentina per le Giudicarie esteriori fu ed è di grande vantaggio – Io dico così: padronissimi gli altri di contraddirmi, lo facciano però con buoni argomenti, chè altrimenti tornerò alla carica più armato di prima.
R.
Soggetto produttore: | “La Voce Cattolica”, n. 54 e n. 55 il 13 maggio |
Data: | 10/05/1884 |
Pseudonimo: | R. |
Descrizione: | Articolo contro l'astensionismo in vista delle nomine degli elettori per eleggere un deputato alla Dieta di Innsbruck in sostituzione del dottor G. Marchetti. |