Era il dì dell’Epifania di quest’anno di grazia 1886; da buon giudicariese, il che suona: fedele cristiano cattolico, mi portava alla chiesa della mia curazia con più desiderio del solito, usandosi pubblicare in quel giorno, dopo l’Evangelo, il movimento della popolazione. Avendo poi noi un curato affatto originale, ma del resto tutta buona pasta giudicariese, egli non si contenta di dirci semplicemente i nati, i morti ed i matrimoni dell’anno, ma vi aggiunge sempre altri dati statistici utilissimi e che noi ascoltiamo con gusto. Quest’anno perciò, voltatosi al Vangelo e presa una cartolina in mano, così ci disse: “Ecco, fratelli carissimi, il movimento della popolazione della nostra Curazia in quest’anno testè passato 1885: anime 800; maschi 440, femmine 360. Nati 30, de’ quali m. 22, f. 8; Morti 30, m. 16, f. 14; Matrimoni 2 1/2 (non c’è niente da ridere qui), cioè due avvennero tra curaziani, mentre una ragazza si maritò fuori della curazia. Emigrati in America 32, de’ quali 3 rimpatriarono, uno morì; restano perciò 28. Emigrati ai lavori delle strade ferrate 4 soli, per grazia di Dio. Emigrati nel Regno d’Italia ai lavori d’inverno 186; cioè 20 ragazzi dai 16 anni in giù, altri uomini celibi 72, ammogliati 65, donne 29, tutte nubili o vedove. Sicchè, vedete, in paese, invece di 800, al presente ci troviamo solamente in 582, e questi quasi tutti buoni soltanto a consumare e non a guadagnare, quindi a spalle dei nostri assenti. Vi raccomando dunque di pregare per loro, assieme con me, ogni giorno, affinché stieno sani d’anima e di corpo, onde a Pasqua ci possano portare il cumquibus da tirare innanzi questi quattro giorni che stiamo in questo mondo mal disposto. Credo in unum Deum etc”.
Fin qui un mio compare, venuto a trovarmi in una di queste sere lunghe lunghe, e mentre il cielo nevicava a piacere, aumentando lo strato di neve, alto 60 cm, già caduta ai primi di questo mese.
Ora su questi dati certi di quel curato sui generis, mi permetto di fare un po’ di statistica approssimativa di tutte le Giudicarie Esteriori, lasciando gli specchietti tanto odiati dal vostro proto. Tralascio di far menzione degli emigrati all’America perché già noti, e così lascio nella penna i pochi lanzinechecchi delle strade ferrate; mi fermo solo a quelli che emigrarono durante l’inverno nel Regno d’Italia. Osservo che quello che succede nella curazia del compare sopraddetto, preterproter, come dice il nostro popolo, succede anche nelle altre. Premetto ancora che i lavori, nei quali si occupano gli emigrati in Italia, sono quelli di segantino, salumajo, torcolotto, arruotino, spazzacamino, facchino, e ciò per gli uomini; per le donne poi l’occupazione esclusiva è quella di servente in famiglie signorili generalmente abitanti in Verona.
Qual’è la morale di tutta la favola? Perché non sia quella che amano tirare i fratelli innsbruchesi, come fecero dalla statistica americana, m’affretto subito a dirla io in caratteri grossi: Se non ci fosse l’Italia, noi giudicariesi, dovremmo crepare dalla fame.
Et nunc, patres patriae, erudimini.
Renzo
Soggetto produttore: | La Voce Cattolica”, n. 145 |
Data: | 14/12/1886 |
Pseudonimo: | Renzo |
Descrizione: | Articolo relativo a dati statistici dell’emigrazione nella curazia di Quadra e a considerazioni generali riguardo l’emigrazione nelle Giudicarie Esteriori. Interessante il riferimento a “preterproter” ad indicare l’appellativo con cui i compaesani si riferivano al Guetti. Questo ad indicare un prete molto attivo sui giornali (il proto è infatti colui che coordina il lavoro di stampa). |