1. “Punto V”: proposta d’inaugurare l’edificio bacologico con una esposizione regionale, da tenersi nel 1893, dei principali rami della nostra produzione agraria;

2. “Punto VI”: partecipazione dell’esito delle pratiche avviate per ottenere una modificazione della legge 1 febbraio 1876 sulla tenuta dei tori da razza e proposta di ulteriori passi da farsi in proposito

3. “Varie ed eventuali” (*)

V. Punto. Proposta d’inaugurare l’edificio bacologico con una esposizione regionale, da tenersi nel 1893, dei principali rami della nostra produzione agraria.

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Si riferisce di intervento di Guetti che propone d’inaugurare l’edificio bacologico agricolo di Trento con una esposizione regionale da tenersi nel 1893 dei principali rami della  produzione agraria. La proposta viene approvata all’unanimità.

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VI. Punto. Partecipazione dell’esito delle pratiche avviate per ottenere una modificazione della legge 1 febbraio 1876 sulla tenuta dei tori da razza e proposta di ulteriori passi da farsi in proposito.

            Relatore Don Guetti.

            L’esito di tanto lavoro fu negativo, ecco tutto detto per mo’ d’esordio.

            Nell’adunanza di Sezione dello scorso anno, noi tutti lo ricordiamo, con vivissimo calore di pertrattazione e con pieno consenso di conclusione si reclamò una riforma della legge 1 febbraio 1876 sulla tenuta dei tori da razza, che altrimenti i danni provenienti alla pastoreccia dopo tanta esperienza fatta sempre più si andavano di molto aggravando.

            In seguito a quel voto, questa Sezione del Consiglio onde facilitare lo scopo bramato, fece di tutto per avere l’adesione anche della Sezione d’Innsbruck e giusta le fatte esperienze si deve dire che fu tatto politico di questa nostra Presidenza il procurarsi quell’adesione per essere sicuri di condurre alla meta la desiderata riforma. Fortunatamente non solo l’adesione ma il più vivo appoggio si ottenne da quella parte nella adunanza cumulativa delle due Giunte tenutasi ai 16 aprile dell’anno scorso in Innsbruck. Anzi, pel tramite stesso della I Sezione furono inoltrate alla Ecc. Giunta Provinciale le nostre proposte, quali furono riportate nel Bollettino del 1890 a pag. 291, il cui punto principale stava in ciò: di affidare l’esecuzione di quella legge riformata ad una Commissione distrettuale composta di tre membri: uno eletto dai Comuni del Distretto, il secondo dal Consorzio o in sua mancanza dal Consiglio, ed il terzo dall’i. r. Capitanato Dist. Ciò avveniva nell’ottobre p. p. colla speranza che l’affare fosse trattato nella tornata dietale del 1890.

            Quella tornata ordinaria della Dieta però finiva senza che nulla si trattasse sulla nostra vertenza.

            I Consorzii Agrarii di Tione e S. Croce, visto questo silenzio, pensarono di romperlo con un ursorio presentato alla Dieta stessa a mezzo dei loro deputati, affichè almeno nella Sessione straordinaria del gennaio di quest’anno si venisse a deliberare anche su questo punto. Diffatti la Giunta Prov. si fece viva e presentava alla Dieta finalmente l’oggetto relativo al cambiamento della legge sulla tenuta dei tori da razza del 1 feb. 1876. La Dieta nella tornata dei 19 gennaio, passava la cosa alla Commissione economica per la discussione e proposta, che da essa fu così formulata:

            I. Non doversi per intanto entrare in un cambiamento della legge del 1 feb. 1876 concernente il tenimento dei tori da razza.

            II. Si incarica la Giunta Prov. di procurarsi a mezzo dei Consorzii agrari distrettuali notizia dei rapporti che in riguardo alla provista e al tenimento di tori da razza sussistono nei singoli comuni, e dei relativi inconvenienti, e di torre – in quanto sia di compentenza della Giunta Prov. questi ultimi di concerto colle due Sezioni del Consiglio Prov. d’Agricoltura, facendo sul risultato dei praticati rilievi rapporti ed analoghe proposte alla prossima Ecc. Dieta.

            Tutto il movente di questa decisione della Commissione economica, come ci notifica la Giunta stessa, fu lo spauracchio della spesa che la Provincia sarebbe stata per incontrare coll’istituzione delle Commissioni distrettuali. Spauracchio però che più sotto vedremo ridursi in nulla, almeno secondo le nostre vedute.

            La proposta della commissione economica non ebbe il favore d’essere pertrattata nel plenum della Dieta, pella inopinata e precoce chiusura della stessa. Se anche lo fosse stata, l’esito per noi sarebbe stato il medesimo, giacchè è raro il caso che la Dieta rifiuti proposte delle proprie commissioni. Pur pure se fosse stata pertrattata, avressimo in mano più in esteso i motivi delle riforme introdotte nelle nostre proposte e saressimo in grado ora di ribatterli con argomenti e ragioni appropriate.

            Occasione però favorevole di farlo egualmente ci sa ora la stessa Giunta Prov., la quale con nota dei 23 feb. p. p. N. 232 ci notifica qualmente essa stessa assume la proposta della Commissione economica ed intende raccogliere i rilievi desiderati e designati al punto II, rivolgendosi direttamente a tutti i nostri Consorzi agrari distrettuali, per il che domanda a questo Consiglio gli indirizzi rispettivi coll’apprezzato suo parere.

            Il parere del Consiglio fu dato e con franchezza e solennemente in data 4 marzo p. p. al N. 781 colla precisa risposta:

            Eccelsa Giunta Prov.

                                                           In Innsbruck

            «Corrispondendo al rispettato decreto dei 23 febbraio u. s. N.° 232, mi pregio rimettere a codesta Ecc. Giunta l’elenco dei Consorzi Agr. Distr. affigliati a questa Sezione del Consiglio provinciale d’agricoltura.

            In quanto al parere che codesta Ecc. Carica domanda su tale quistione, lo scrivente non può che riferirsi a quanto Le espose in proposito ripetutamente, convinto che tutte le misure che verranno prese per torre gli inconvenienti che si lamentano circa la manchevole esecuzione della legge 1 febbraio 1876, non potranno approdare a pratici e soddisfacenti risultati, se non nel caso che venga contemporaneamente provveduto nei singoli distretti per una rigorosa e interessata sorveglianza sulla tenuta dei tori da razza.

            È a prevedersi che anche i Consorzi agrari, che codesta Ecc. Giunta intende di interpellare in proposito, non si pronunceranno diversamente essendosi il Consiglio, come in tutte le altre vertenze, anche in questa fatto interprete dei loro insistenti lagni, e del voto unanime ripetutamente emesso nelle nostre adunanze di Sezione.

            Comunque sarà per riuscire questa nuova inchiesta, auguro sinceramente che venga per essa trovato il modo di porre un termine ai danni economici rilevantissimi che ogni anno derivano dal triste fatto che le provide disposizioni della legge 1 febbraio 1876 non trovano pressochè alcuna applicazione.»

            Nel medesimo tempo questo Consiglio avvisava tutti i nostri Consorzi della imminente inchiesta che sarebbe per fare la Giunta Prov. a mezzo loro, e li invitava a rispondere e colla maggior possibile esattezza e franchezza, esponendo chiaramente lo stato presente della quistione nei rispettivi distretti.

            Più ancora la Giunta Permanente di questo Consiglio nella sua ultima sessione del 17 p. marzo al P. VIII discusse pure questa vertenza venendo alle seguenti proposte.

            I. La Presidenza viene invitata a mettere nell’ordine del giorno della prossima adunanza di Sezione l’oggetto presente onde possano in merito pronunziarsi anche tutti i rappresentanti dei nostri Consorzi Agr. Distr. – ed in base a ciò

            II. insistere con tuttta energia presso l’Ecc. Giunta Prov. sulle proposte già fatte riguardanti la legge 1 febbraio 1876 sul tenimento dei tori da razza con quelle eventuali modificazioni che venissero concretate nella prossima adunanza di sezione.

            III. Di nuovamente far nota all’Ecc. Giunta la gravità dei danni che provengono e staranno per pervenire colla legge ora vigente, qualora la medesima insistesse sulla proposta della commissione economica e lasciasse cadere quelle presentate e volute da questo Consiglio Prov.

            Per il che ora tutti i delegati de’ Consorzi sono chiamati a pronunciarsi in proposito; ma prima che lo facciano mi permetto ribattere brevemente il gran motivo della spesa che spaventò talmente la Commissione Economica della Dieta da venire al rifiuto delle nostre proposte. La somma che ad abbundandum fu prevista dalla Giunta permanente per sopperire alle spese della Commissione distrettuale in cifra rotonda si elevò a f.ni 100 per distretto e in tutti i 25 distretti trentini a f. 2500 annui. Questa cifra, ripeto, è esagerata al certo, almeno per la gran maggioranza dei distretti, e si potrebbe ridurre a minimi termini, qualora si volesse. Giacchè, ammesso che il membro della Commissione distrettuale fosse il rispettivo i. r. veterinario, da questa parte la Provincia non avrebbe nuove spese potendolo obbligare già in forza delle sue mansioni ufficiali. Anche il delegato Consorziale e quello de’ comuni chiamato a far parte della commissione non potrebbe giammai pretendere una diaria alta, ma dovrebbe contentarsi a quelle d’uso nei singoli comuni del Distretto. Le visite poi a tori pella loro idoneità potrebbero essere fatte con facilità radunandoli in due o tre al più centri distrettuali e così via. – Ma, ripeto, lasciamo i f.ni 100 per Distretto, è questa una spesa che spaventa e faccia retrocedere dalla riforma della legge? Una spesa che spaventa e che non si deve assumere sarebbe quella qualunque che non porta vantaggi od assai problematici, ma qui è il caso? Tutt’altro; questa spesa di f.ni 2500 ha in sicura previsione un vantaggio annuo di 200 mila fiorini, quindi un interesse niente meno dell’80 per uno. Ecco il facile calcolo. Colla legge presente 1 feb. 1876 messa alla pratica come tutti sanno, ossia senza un organo interessato che la faccia osservare appuntino, ne abbiamo tali danni ogni anno specie in tanti distretti eminentemente pastorecci, che sorpassano le centinaia di migliaia di fiorini. È un fatto già bell’e constatato da persone competenti in materia. Queste hanno trovato che delle 50 mila vacche esistenti in paese, 10 mila restano sterili e oltre la metà di queste pella causa appunto di tori che mal si prestano alla riproduzione. I cinque mila allievi che vengono a mancare, ed il latte che si diminuisce causa l’infecondità a calcolare tutto a basso prezzo formano 200 mila fiorini che vanno miseramente perduti. Ma va di più. A cagione dei cattivi tori, i soggetti stessi che si allevano non sono quali dovrebbero essere ad allevamenti perfetti e quindi la loro qualità scadente aumenta assai il danno sopra rilevato. A tutto ciò si rimedia colla legge modificata nel senso voluto da noi, e sebbene si spendessero in più i f.ni 2500, noi salveressimo le migliaia sopra dette senza far calcolo di altri vantaggi indiretti come sarebbero: il maggior prezzo dei nostri bovini, la maggior vendita di latte ed infine quindi la maggior utilizzazione de’ foraggi. La più ovvia regola d’economia ci insegna a chiamare denari bene spesi quelli che ci apportano un vistoso interesse, e non merita nome di spesa sicuramente quel capitale che mi dà l’80 per uno. Quindi invito l’assemblea ad accogliere la seguente proposta:

            I. Insistere con tutta energia presso l’Ecc. Giunta Prov. sulle proposte già fatte riguardanti la modificazione della legge 1 feb. 1876 sulla tenuta dei tori da razza.

            II. Di nuovamente far nota all’Ecc. Giunta la gravità dei danni che prevengono e staranno per pervenire colla legge ora vigente, qualora la medesima insistesse sulla proposta della Commissione Economica, e lasciasse cadere quelle presentate e volute da questo Consiglio.

            Dopo lunga discussione, alla quale prendono parte oltre il Referente, i Sigg. Bazzoli, Dal Trozzo, Eccher, Grigolli, Lucchini, Morandi, Tava, Sardagna, vengono

            Conchiuso: accettate le proposte del Referente coll’osservazione che le rispettive prescrizioni devono valere anche per la tenuta di tori sulle malghe, dove essi presentemente non solo sono in numero insufficiente per la fecondazione delle vacche che vi pascolano, ma vengono anche lasciati vagare senza alcuna sorveglianza, per cui si rendono dannosi alle persone, si che sarebbe necessario di prescrivere ch’essi vengano tenuti in appositi recinti.


VII. Punto. Varie ed eventuali

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Si riferisce di intervento di Guetti quale referente in pastorizia che riporta le lamentele della popolazione per la proibizione delle fiere anche in quei distretti nei quali si è sviluppata l’afta epizootica in proporzioni limitate. L’assemblea propone quindi di interessarsi presso le autorità perché tale proibizione venga levata.

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Don Guetti interpella la Presidenza se non sarebbe il caso di occuparsi nella presente seduta delle questione riflettente il pascolo delle capre e delle pecore e sulla riforma della relativa Ordinanza Luogotenenziale dei 24 febbraio 1855.

            Il Presidente osserva che la vertenza verrà pertrattata in altra occasione pendendo tuttora le relazioni dei Consorzi agrari distrettuali che vennero invitati a presentarle entro il 15 del corr. mese, e che conformemente al Regolamento interno deve far dipendere un eventuale discussione in proposito dall’adesione dell’Adunanza. Provocata ad ottenuta dalla stessa una tale adesione, prendono la parola i sigg. Dal Trozzo, de Eccher, Lucchini, Bazzoli, Dalmaso, Colò, Cav. de Pizzini ed infine il referente alla pastorizia M. R. Don Guetti, che espone quanto segue:

            Parrebbe cosa fuor di tempo il doversi fermare a discutere sulla riforma di un’Ordinanza che porta la data del 24 febbraio 1855, perciò con 36 anni di tacita e regolare prescrizione, giacchè non si ricorda che questa Ordinanza nei suoi primi anni di vigore abbia incontrata seria opposizione di sorta. Ma l’affare non sembra però tale al presente, quando si considerino le serie opposizioni sorte tra il popolo da poco o più di un lustro contro tale Ordinanza e rispettivi analoghi decreti delle competenti Autorità. In quest’ultimi anni l’argomento delle capre fu il tema di ogni primavera e non solo nel ristretto circolo dei nostri valligiani, ma si ancora nelle pubbliche gazzette, nelle discussioni delle rappresentanze comunali e finalmente, in seguito ad imponente petizione di quasi tutti i nostri comuni alpini, perfino nell’Aula dietale della Provincia. Oggidì poi è argomento di tutta palpitante attualità, e forma il discorso quotidiano del nostro popolo, il quale sa che tutta la vertenza sta per la decisione in mano de’ nostri Consorzi Agrari, dai quali aspettano un responso conforme ai sentiti bisogni, e confidano in essi sicuri che sarà giunto il termine ai ripetuti lagni in proposito.

            Ma donde mai il movimento di tutto un popolo contro le disposizioni di tale ordinanza? Perché solo adesso tanti lamenti e non pria d’ora, se questa già data dal 1855?

            Da principio gli esecutori della legge uniformandosi ai soliti principii della politica, che suonano principii di prudenza, praticavano il disposto dei relativi §§ in modo che fossero salvi e l’interesse del popolo, ed il prosperamento de’ boschi ritenendo la massima generale sancita dalla legge del Creatore che i boschi sono fatti pell’uomo, non l’uomo per i boschi; e fin qui si camminava diritto senza opposizione di sorta. Altri esecutori della legge posteriori decampando dalle leggi della politica, e quindi prudenziali, ed educati forse a più moderni principii della pura natura, dimenticando che l’uomo è sempre il re del Creato, e valendosi di circostanze straordinarie avvenute per molteplici cause in questi ultimi anni, e di boschi distrutti, e di inondazioni fatali succedentesi con troppa permanenza ed insistenza, credettero ritrovare la causa causarum di tanti malanni nella capra e, fattisi forti dell’ordinanza del 1855, si diedero a tutt’uomo a muovere guerra di sterminio allo sgraziato quadrupede. Anzi, sembrando loro che l’ordinanza luogotenenziale del feb. 1855 fosse troppo poco, vennero a rincarare la dose con altra ordinanza pur luogotenenziale dei 24 nov. 1877 N. 18272, nella quale si giunge perfino a prescrivere che ogni anno debba venir diminuita la quantità delle capre. Non bastò: si aggiunse poi fresco fresco il punto lettera b del dispaccio dell’i. r. Sezione di Luogotenenza di Trento 13 febb. 1883 N. 614, il quale vieta il pascolo di capre nei boschi, che riguardo al pascolo formano parte integrante di una malga alta o bassa, se il pascolo con evidente danno per la selvicoltura serve a scopi di lucro e di speculazione (decreto che dai nostri tecnici forestali fu ritenuto come assolutamente proibitivo sì da cacciare da tutte le malghe le capre, chè loro ovunque vedevano ad evidenza i danni, ed ovunque si trovava lo scopo di lucro e della speculazione). In quello stesso dispaccio si ordina di regolare il pascolo delle pecore, la quantità di queste, e l’epoca del pascolo, e di ostarsi (ciò meno male) all’illecito girovagare con mandre di pecore italiane pei boschi, prati e pascoli dai confini dello stato sino alla località alpina destinata al pascolo. In fine a corona di tutto s’aggiungono le norme stampate in fronte alle stampiglie forestali, numeri nuovi 25, 27, 29. In una parola dai moderni protettori dei boschi abbiamo tale una batteria montata contro la capra e rispettivamente le pecore, che se si lascia liberamente agire ci manderà a patrasso tutti questi animali distruggendone affatto la razza.

            Ma dico io, donde questo ostracismo si assortito? Perché, lo si dice con cattedratica asseveranza, la capra è la rovina dei boschi, i boschi rovinati portano le innondazioni, l’innondazioni distruggono i campi e portano via i milioni di fiorini per le riparazioni. Dunque la capra è causa di tanti danni, è lo sperpero dei milioni.

            Ma è proprio vero tutto ciò? La deduzione cammina giusta per giuste premesse? Secondo la semplice teoria studiata al tavolo; ma se la cosa viene studiata sul libro più chiaro della natura, giusta le leggi della Divina Provvidenza, ed in mezzo all’aure pure dei nostri monti, con in mano numerosi e parlanti argomenti che ci offre il nostro buon alpigiano, troveressimo delle conclusioni ben differenti, perché ci metteressimo delle premesse informate a tutta verità. Ed invece di venire alla distruzione delle capre, ce ne faremmo suoi protettori, regolando con più giusti criteri il suo pascolo.

            E per vero. Che cosa è la capra? Fu chiamata, ed è il realtà la vacca del povero; il che vuol dire che è la vita del povero. E questo povero da noi non è un solo, ma sono molti.

            Nelle nostre valli e su su nei nostri monti col frazionamento della possessione agricola troviamo che solo forse appena un terzo delle famiglie possono svernare due vacche, sicchè per tutti gli altri è necessaria la capra, ed a queste dovrebbe essere concessa anche pel disposto del § 5 dell’ordinanza 24 feb. 1855. Ma anche coloro che possono svernare due vacche, non lo potrebbero se per tre mesi non le affittano in montagna, e per quel tempo a loro pure è necessaria la supplenza a mezzo della capra. Ma come stiamo al presente col numero delle capre: se ne ha giusta i bisogni sentiti? Osservate. Vent’anni fa, quando esisteva bensì la ordinanza, ma non era osservata con quel rigore (degno di ben maggiori bisogni) in un paesello di 800 anime di mia conoscenza le capre erano in N. di 300 con un numero di bovini pari al presente e forse maggiore. Al presente ve ne sono soltanto 80, dico ottanta, e neppur queste legalmente, chè la volontà dei tecnici forestali appena appena ne permetterebbe 50, e sempre con quel benedetto paragrafo in testa che questo numero vada ogni anno diminuendo. Cosa che si vuole notata nel protocollo di ogni primavera nella sessione forestale, ma che il popolo non lascia poi col fatto praticare a costo di rivolte, le quali non sono nuove in proposito, ma che qua e là dal 1855 in poi si rinnovano ogni anno. Ebbene, dirassi, almeno in quel paese e così in altri ove si verificò tale diminuizione di capre, si avrà un miglioramento de boschi? Lo dica chi vuole, io asserisco che, se non deteriorati, non sono certo migliorati e quindi ad altre cause, e non alla capra, si deve attribuire il malanno. Ma non basta, la capra agli occhi del Popolo e perfino a quello dello statista e del calcolatore, non è affatto un animale pernicioso, ma si presenta anzi animale provvidenziale, e vantaggioso non poco. Veniamo un po’ ad un piccolo calcolo di entrata e di uscita.

            Il prezzo di costo di una capra varia dai 6 ai 12 fiorini sul mercato odierno, prezzo accessibile alla più modesta borsa, perfino di un proletario.

            Questo animale porta di annua rendita calcolata modestamente le seguenti cifre: Entrata

            La custodia in casa viene ad esuberanza compensata col concime.

Abbiamo quindi un reddito netto di fior 10.10 e quindi un frutto eguale presso a poco al capitale ossia 100%; visto il prezzo medio di costo di una capra sopra notato di f. 6 ai 12.

            Questo dicasi del guadagno diretto; ma altri sono poi i guadagni indiretti che meritano d’essere ben bene considerati.

            La famiglia del povero alpigiano col latte della capra che usufruisce per 6 mesi all’anno, ha con che condire sufficientemente ed igienicamente i suoi cibi. Un litro di latte della capra p.e. è bastante pel condimento della cena di una famiglia composta dai 4 ai 6 individui.

            Con questo condimento che costa 6 soldi, hassi una cena sugosa, sostanziosa e per la quale la pelagra almeno non ha che fare. Se mancasse il litro di latte, e con i 6 soldi rispettivi si dovesse dal pizzicaiolo del paese provvedere il condimento necessario, lo posson dir tutti, quale condimento e quale cena si avrebbe. Diciamolo pure, ed anzi accertiamo questo punto, che se la pelagra da noi non non fa stragi, è appunto pel latte della capra, il quale durante l’estate forma il precipuo condimento dei cibi del nostro povero popolo. A proposito di ciò, posso constatare un fatto recentissimo. In questi ultimi anni nelle pianure Lombardo-Venete per scongiurare il malore appunto della pelagra si studiò di propagare la tenuta della capra che vi era rarissima, ed oggidì i nostri contadini che vi emigrano in inverno la trovano in pressoché tutte le famiglie di que’ coloni.

            Oh se mancasse la capra, quanto meno nutriti si troverebbero i nostri poveri contadini ed in quanti imbarazzi si troverebbero per aver un po’ di companatico e di condimento pei loro cibi, d’altra parte sempre poveri e scarsi di principi nutritivi.

            Lo vidi più volte io stesso l’imbroglio di qualche famiglia, quando per acidente il pastore non conduceva alla casa la capra per averla smarrita al pascolo! Sono scene di tutti i giorni dell’estate per noi curati di montagna, l’ansia trepidante di tante madri di famiglia che attendono il pastore alla sera che ritorni dal monte per poter apprestare la cena all’affamata famigliola, e questa cena non viene, se non viene la capra! Non è idillismo, questo è pura verità. Ancora: il latte di capra è nutriente assai, e pei suoi principii va avvicinandosi a quello di donna come ce lo insegnano gli igienisti, e quindi è il più omogeneo per farne al caso la supplenza. Le nostre madri popolane quante volte e per le fatiche cui soggiaciono e per lo scarso nutrimento o per altre cause si trovano incapaci di nutrire que’ cari bamboli, che sono frutto de loro onesti connubii, e come vi suppliscono! Col latte di capra e se voi vedete i figli del nostro popolo crescer su paffutti, robusti e si ben regolari nelle forme da dare i maggiori contingenti alla milizia, lo dobbiamo più alle balie che alle madri, e queste balie sono le odiatissime capre. Si tenti pure in altri luoghi ed in altre famiglie a supplire ciò con surrogati nutritivi di 4 pagina; avremo in buon numero i rachitici e gli scrofolosi e gli scarti, ma non già i figli sani, col sangue ossigenato che imporpora le loro guancie come ai figli dei nostri proletari nutriti col latte di capra. Muoia dunque la capra? No, ma viva, e viva numerosa! Ma eppure essa reca danni e danni fatali al bosco, si continua a dire. Vediamo se è proprio vero.

            La capra intanto non distrugge il bosco; ne ritarda la vegetazione, ma non la distrugge. Le radici del bosco, e le ceppaje restano sempre, e dove restano le ceppaje non si danno dilamazioni. I rigori contro le capre, si rivolgano contro i distruttori delle ceppaje e perfino delle radici, capri questi ben più dannosi, ed otterrassi miglioramento de’ boschi, e si impediranno le dilamazioni. Vi sono teneri boschi, vi sono tagli estesi a fratta che meritano rispetto pel guadagno che è la prospettiva negli anni avvenire, ebbene si dia il bando da que’ luoghi a tutti gli animali nocivi, e perciò alla capra, alla vacca, e alla pecora e peggio all’uomo; e finchè le pianticelle in que’ luoghi non sono tant’alte da fuggire il morso degli animali, perduri il bando; ma in boschi normali che per fortuna sono moltissimi da noi, ma in alto su per i monti ove non arriva che la sola capra e dove nissun provento si ha, ed è appena sensibile il danno, si lasci pascolare la capra liberamente, perché i vantaggi che ne ricaviamo sono ben superiori ai danni che si lamentano. La capra come abbiamo accennato più sopra mangia per il valore di 2 soldi al giorno nel bosco, diamo il bando alla capra e poi ditemi se quei due soldi li potrete avere dai vantaggi diretti e indiretti dal bosco. Se questo me lo provate, io vi farò non de’ poveri pezzenti come siamo noi, ma dei milionari. Una rendita maggiore dal bosco quanta ne sa ritirarla la capra, non si può avere giammai.

            Ma finiamo per intanto e serva il fin qui detto a mostrare che quello che la scienza umana vuole tenere per persuasione, va a rompersi contro la pratica del più zotico popolano, il quale considera un beneficio della divina provvidenza ciò che si vuol fare un maleficio il più dannoso.

            Non siamo chiamati in conseguenza di ciò a far proposte analoghe che il regolamento non permette, ma voti e voti vivissimi possiamo esprimere e questi sono:

            Che venga modificata l’Ordinanza 24 febb. 1855 che forma la base nella legge forestale del 1839. Ved. Boll. delle leggi P.li anno 1839. II Parte pag. 570. 642. 644 N. 89, e le susseguenti disposizioni luogotenenziali 24 novembre 1877 N. 18272 e 13 febbraio 1883, e che questa modificazione si versi sulla proibizione del pascolo solo in luoghi pericolosi pei passeggieri e nei tagli a fratta recenti e di tenera vegetazione, e che pel resto sia libero il pascolo nei luoghi adattati, quali vengono designati dalle rappresentanze comunali d’accordo coi tecnici forestali, ai quali spetta stabilire il numero delle capre in un comune, il che deve essere tale da soddisfare tutti i bisogni riconosciuti, dei censiti.

            Conchiuso L’Adunanza aderisce ai voti espressi dal Referente, sperando che vengano presi in considerazione dai fattori competenti.

Soggetto produttore:“Bollettino C.P.A.”, anno 1891, 9 aprile, pp. 90-91, pp. 91-94, pp. 97-100
Data:09/04/1891
Pseudonimo:
Descrizione:(*) Si tratta di relazioni di don Guetti contenute internamente al verbale della sessione pubblicato sul Bollettino. La prima riguarda la proposta d’inaugurare l’edificio bacologico agricolo di Trento con una esposizione regionale, la seconda l’esito delle pratiche per ottenere una modifica della legge dell’1 febbraio 1876 sulla tenuta dei tori da razza, la terza riguarda la riforma dell’ordinanza del 24 febbraio 1855 riguardante il pascolo delle pecore e delle capre. Nel terzo punto si riferisce anche dell’intervento di Guetti riportante le lamentele della popolazione per la proibizione delle fiere anche in quei distretti nei quali si è sviluppata l’afta epizootica in proporzioni limitate.