Pubblichiamo questo dialogo che può avere qualche importanza anche per altri luoghi, oltreché per quello da cui è partito.
La Capra. Che cosa hai, mio buon omo, che in questa mattina sei più corrucciato del solito? T’è capitata qualche altra disgrazia addosso oltre le solite miserie?
Il Povero. Pur troppo un’ altra disgrazia c’è per aria! e sta volta non colpisce me solo, ma ci sei dentro anche tu, mia povera capra!
C. Oh! io c’entro, io? Ma come mai?
P. Ascolta, che ti leggo l’avviso comunale attaccato all’album “Si avvertono tutti i censiti che presso quest’officio sta esposto l’elenco della capre concesse per quest’anno e che eventuali reclami contro lo stesso possono essere presentati entro 14 giorni dalla data d’oggi!!….”
C. Ebbene perché spaventarsi da quest’avviso? Che cosa c’è di nuovo? Non era lo stesso quello dell’anno scorso?
P. Sì, l’avviso è lo stesso come negli anni scorsi, ma l’elenco delle capre, ch’io fui a vedere nella cancelleria comunale, non è mica il medesimo come per il passato; giacché a me non si concede più capre e neppure a tanti altri miei compagni e compari. La metà appena di quelle dell’anno passato è concessa per quest’anno. Mi tocca perciò di venderti a qualunque prezzo, se non voglio vedermi costretto a mantenerti chiusa qui in stalla tutto l’anno. Oh povero me! povera la mia capretta!
C. Ma fatti coraggio; dimmi perché poi tanto rigore? che cosa ho io mai fatto per vedermi condannata all’ostracismo?
P. Che cosa vuoi che sappia io?…. Sento a dire da chi ha studiato che per cagion tua e delle tue compagne furono distrutti tutti i boschi, e che i boschi distrutti sono causa delle innondazioni, delle frane dei monti e della ghiaia che viene a coprire le fertili pianure. In conclusione, se mezzo il Trentino è sotto la melma e la ghiaia per la troppo famosa innondazione del passato autunno, la colpa, o capra, è tua. E perché non ci capiti presto una seconda lavata, si pensò bene di intimarti la morte e la distruzione.
C. Oh che sento! Dopo tanto progresso fatto dagli uomini da per tutto, proprio adesso, in questo secolo sì illuminato, venirmi fuori con queste conclusioni, sì sballate? Cagionare la capra di tanto malanno? Troppo onore, se fosse detto sul serio!
P. La mi sembra troppo grossa questa conseguenza anche per la mia testa un po’ duretta!
C. Grossa? La è grossissima, perché m’arricordo che mia madre mi diceva aver udito da mia nonna che ai suoi tempi, un trent’anni fa o via di lì, i boschi qui da noi erano molto più vegeti ed in buono stato che al presente, ed allora le mie sorelle capre in questo paese erano tre volte tante che adesso, ed erano libere di andare per tutti i boschi del comune e non si sentì mai un lamento degli uomini d’allora a carico delle povere capre.
P. Eh lo posso dire anch’io questo tanto, che ho 60 anni sulla gobba; quando ero ragazzo ed anche giovane sui vent’anni, a casa mia si tenevano tre capre e così in proporzione dagli altri, ed i boschi erano così folti che perfino vicino al paese qualche volta si videro dei lupi e degli orsi.
C. E quei boschi gli abbiamo mangiati noi, povere capre? Que’ grossi faggi, que’ grossi ceppi, quelle radici che perfino a carri a carri, a chi più potea, venivano condotte in paese, ove non si potea andar col carro, venivano abbruciati per far carbone; siamo state noi capre ad abbatterli, ad atterrarli, a sradicarli?
P. Eh pur troppo fu l’uomo il distruttore, e perciò adesso che sono distrutti, bisogna rifarli col lasciarli crescere, ed è per questo che non vogliono più capre o in numero assai limitato, perché voi altre troncate le belle cime de’ boschi teneri e non lasciate vegetare alcuna pianta.
C. Sono d’accordo con te che se ci conducono al pascolo in un bosco tenero, noi facciamo una cimatura regolare, come fate voi nelle viti col taglio verde; ma ci sono bene altri luoghi comunali in cui possiamo pascolare senza dare gravi danni; e non fu già pensato anche a questo con quei tanti tabelloni che gridano bosco in bando? Ci lascino dunque andare in luoghi a minor danno, che ve ne sono a sufficienza, ma ci permettano di vivere; è forse troppa la pretesa?
P. Almeno una capra per famiglia, specialmente se è famiglia povera, pare anche a me che si dovrebbe permetterla, perché è più il vantaggio che il danno che si ha in fine dei conti.
C. Vantaggio? Si dica vantaggi. La capra domestica da voi altri è chiamata, ed a buona ragione, la vacca del povero. Non sempre si può avere una vacca, ma sempre si può avere una capra. Io sono un animale resistente, sobrio, che dà gran copia di latte eccellente. Se per causa di malattia od altro una vostra donna non può allattare il suo bambino, nessun latte può sostituirlo meglio del mio; mi lascio agevolmente poppare e perfino mi affeziono mirabilmente al fanciullo che allatto; assieme alla suora di Carità compio appuntino gli obblighi d’una madre in qualunque parte del mondo! Tenuta con cura, dò, in ricambio di pochissimo cibo, due capretti all’anno, il pelo perfino e la mia pelle non sono senza valore in questi tempi specialmente di baionette e giberne.
P. Va là, che lo sappiamo molto bene noi poveri contadini, il vantaggio che tu porti; forse non lo sanno si bene coloro che possedono molte vacche o che vestono seta, e per questo ti si vuole bandita.
C. Ma un’ altra cosa mi viene in mente. Non leggevi in quest’inverno qui in stalla un libro che ti avea imprestato quel buon uomo di curato, ove si raccomandava molto e molto la pastoreccia pel Trentino onde salvarci dalle miserie e non essere costretti più ad emigrare in America?
P. Sì, vero; oh quello era un libro d’oro e che parlava giusto per noi poveri contadini!
C. Ebbene; se ora si proibisce la capra e la pecora, dove vi può essere pastoreccia per i poveri, che formano la maggior parte di voi contadini?
P. Giustissima osservazione; parli proprio come un libro stampato. Sai che cosa c’è ancora di nuovo? Sull’elenco veduto in cancelleria ho trovato diminuito anche il numero delle pecore.
C. E quello delle vacche?
P. Oibò! quello no, perché le vacche non fanno male.
C. Non fanno male? Ne fanno mille; fanno più male esse in un boccone, che noi capre in un giorno. Ma le lasciamo stare perché la sarebbe troppo grossa il limitarle, mentre tutti gridano aumentate il bestiame, ed i ricchi si farebbero intendere molto bene.
P. Ma e per noi poveri non ci sarà mezzo da farsi intendere?
C. Eh sì, c’è il mezzo. A me che sono un animale senza ragione, sembrerebbe che un ricorso, come già dice l’avviso comunale, fatto come va e a chi deve, potrebbe benissimo salvar voi e noi. Una capra per famiglia almeno, la sembra una cosa così equa e poco pretendente, che non si troverà tanta difficoltà a concederla.
P. Allora vado subito dal curato che è l’unico da noi che sa queste cose e che le vuol fare per niente; facciamo fare per tutti un bel ricorso coi fiocchi, e speriamo in questo modo di poter ottenere la continuazione della vita alla meno male per noi.
C. Ed anche per noi.
R.
Soggetto produttore: | “La Voce Cattolica”, n. 45 |
Data: | 17/04/1883 |
Pseudonimo: | R |
Descrizione: | L’articolo è un dialogo immaginario tra la capra e il povero scritto da don Lorenzo con lo scopo di fare ricorso contro il decreto che imponeva la riduzione delle capre. |